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Un Narratore fuori dal coro

L'urlo atavico di Giovanni Martello

Domenica 14 Maggio 2017

 Martello o la redenzione della Calabria 

Può un romanzo, sia pure straordinario e narrativamente perfetto, dire qualcosa d’importante per una terra come la Calabria, affetta da numerose contraddizioni? Sì, lo può, in forza della sua carica poetica, perché niente è più adatto della vera poesia a farci capire con vigore di convinzione i punti nodali della Storia, questa volta con la iniziale maiuscola. E, infatti, solo un grande poeta come Manzoni poteva farci sentire, anzi farci urlare (anche il romanzo di Giovanni Martello s’intitola L’urlo atavico) contro oppressori di tutto un popolo come furono gli Spagnoli nell’Italia del Seicento.

E, nella Calabria del Novecento, anzi a partire dalla presunta Unità d’Italia in poi, una famiglia calabrese, quella dei Marlo, nel romanzo di Martello, ci fa leggere con le sue vicende tragiche, le storture di una terra benedetta dalla natura e maledetta dagli stessi uomini che la abitano. Come i rappresentanti delle cosche criminali e politiche e perché no, a volte anche Statali Può redimersi la Calabria da tutto ciò? Martello invita a resistere, a non tradire la propria terra abbandonandola, opponendosi con coraggio e decisione a tutto quanto e a tutti quanti non fanno altro che spingerci ad andarcene mille miglia lontano da qui. E io aggiungo che, nonostante tutto, nonostante quello che io di continuo denuncio dal mio blog, ci sono le possibilità, attualmente, perché la nostra terra vada verso un futuro migliore.

Scritto da   Pubblicato in Tonino Iacopetta

 

Ricordando Agostino Porchia al "Maggio dei Libri 2017" di Lamezia

 

 Agostino Porchia

LAMEZIA TERME (CZ) 07 MAGGIO  - Il Sistema Bibliotecario Lametino e la Biblioteca Comunale di Lamezia Terme hanno dedicato una giornata della VI edizione del “ Maggio dei Libri” al ricordo di Agostino Porchia, figura poliedrica e guida trainante della comunità lametina nell’ambito del panorama sportivo e culturale.

il fatto quotidianoarticolo padellaro

Con tutto il rispetto per l’Ocse non c’era bisogno dell’Ocse per sapere che gli insegnanti italiani sono i migliori d’Europa e tra i migliori al mondo. Chi ha la fortuna di essere inviato nelle scuole per parlare con i ragazzi (di giornalismo o di politica o dei fatti della vita) ne ricava quasi sempre la sensazione di un patrimonio immenso di vitalità, passione e desiderio di conoscenza. Ma,al tempo stesso, è difficile non covare il timore che molta di questa ricchezza possa andare in malora una volta concluso il ciclo di studi e alle prese con il lavoro che non c’è.

Ai tanti luogocomunisti che sui giornali non perdono occasione per lamentarsi, signora mia, di un sistema scolastico fabbrica di studenti svogliati e di professori indulgenti (quando non addirittura incubatrice di analfabetismo di ritorno), vorremmo consigliare una visita, per esempio, all’istituto Tommaso Campanella di Lamezia Terme dove si resta ammirati dalla capacità di argomentare dei ragazzi e dall’uso sempre appropriato della lingua italiana. Citiamo non a caso una scuola del profondissimo sud perché non dimentichiamo le parole di una loro insegnante “Ocse”, Enzina Sirianni, in risposta ai complimenti: “Sì, sono bravi ma i più fortunati voleranno via mentre chi rimane…”. Infatti, i meno fortunati potranno sempre compilare dei curricula che finiranno diritti in qualche cestino. Oppure, molto più utilmente, iscriversi ad un torneo di calcetto. Perché nel richiamare i giovani alla miserevole realtà delle cose il ministro Poletti dice il vero. Ma subito dopo dovrebbe dimettersi dal governo come tutti i governanti passati e presenti complici, per inettitudine o per dolo, della catastrofe generazionale che oggi si misura con il 40% di disoccupazione giovanile. Così che nell’Italia immaginaria che distinguesse tra meritevoli e somari, gli insegnanti dovrebbero governare e i ministri tornare a scuola. Ma questa, e me ne scuso, è solo demagogia.